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Lavagne per tutto e per tutti: Kanban board

Quando si entra in aziende che lavorano in modo agile – o per meglio dire lean – balzano subito all’occhio delle grosse lavagne ricoperte di foglietti. Quelle lavagne non fanno solo “figo”, ma rappresentano l’appiattimento delle gerarchie e la distribuzione dell’informazione in basso perché servono, tra le altre cose, a fare in modo che tutti possano sapere in ogni momento cosa si sta facendo in azienda e chi lo sta facendo.
Chiaramente nelle organizzazioni aziendali classiche, piramidali e spesso monolitiche, chi ha la “fortuna” di stare in alto non ha interesse a far sapere ai sottoposti più dello stretto necessario allo svolgimento del loro lavoro, e queste lavagne si vedono solo raramente per qualche iniziativa estemporanea del singolo. Eppure anche se si è l’ultima ruota del carro una lavagna di questo tipo può essere molto utile.
Inoltre la storia ci dice che a un certo punto anche una cività apparentemente eterna come quella dell’Antico Egitto si è sfaldata ed è stata sostituita da altre, quindi meglio prepararsi.

Kanban, sempre con questi nomi inglesi

No, niente inglese per una volta. Kanban è un termine giapponese ed è diventato celebre principalmente grazie alla Toyota e al loro sistema di gestione della produzione Just in time. Dovrebbe bastare questo per capire che lo strumento è tutt’altro che appannaggio del mondo dello sviluppo software e che può essere utilizzato in tutti quei contesti dove non si è soddisfatti dei tempi e dei modi in cui determinate operazioni vengono svolte.

Perché si usa una Kanban board

Come già anticipato questo strumento – specialmente se attaccato a un muro – ha il potere di far fluire l’informazione all’interno dell’azienda, migliorando anche la collaborazione tra le varie parti.
Se usata nel modo opportuno si riesce inoltre a valutare a colpo d’occhio il lavoro in attesa di essere svolto, quello in fase di lavorazione, e come si distribuiscono i compiti i vari collaboratori. Il WIP (Work In Process) non deve essere eccessivo in relazione al numero di persone al lavoro, e una Kanban può aiutare a tenerlo abbastanza alto da mantenere sostenuta la produzione, ma non troppo da inficiarne l’efficienza.

Effetti dell'aumento eccessivo del WIP

Effetti dell’aumento eccessivo del WIP


Se poi si vuole fare un lavoro con i fiocchi e si inserisce in ogni foglietto la data di inserimento nel backlog (data di richiesta), la data di inizio lavorazione e quella di fine lavorazione, è possibile calcolare per ciascuna attività il cycle time (tempo di lavorazione) e il lead time (il tempo intercorso tra la richiesta e la consegna), e con questi dati ottenere delle preziose metriche del lavoro svolto (tempi di lavorazione medi, tempi di consegna medi e così via), metriche utilissime per individuare colli di bottiglia e per cercare di migliorare il funzionamento aziendale.

Tangibile o no

Le scuole di pensiero sono diverse – come sempre – e qualcuno è convinto che nell’era digitale tutto debba essere fatto di bit. Com’è naturale ogni soluzione ha le sue peculiarità e i suoi punti di forza, tutto sta valutare i pro e i contro e scegliere di conseguenza.

Lavagna digitale

Ci sono svariati servizi web, a pagamento o non, che permettono di creare la propria Kanban board (o qualcosa di molto simile) e di condividerla con la propria squadra. I vantaggi principali di affidarsi al digitale risiedono nel poter avere accesso alla propria lavagna ovunque ci si trovi, e di poterla condividere con chi si vuole. Si può gestire una profilazione in base alla quale diversificare i permessi di accesso, e avere a disposizione delle metriche sempre aggiornate. Inoltre a seconda del servizio scelto si potrebbe anche pensare di mettere in piedi integrazioni con altri strumenti per gestire i propri progetti nel modo più automatico possibile.
Lo strumento principe in questo momento è sicuramente Trello, ma l’offerta è enorme e ci sono anche soluzioni gratuite e open-source come Kanbanik.

Welcome board di Trello

Welcome board di Trello

Lavagna reale

Occupa spazio a parete e bisogna attrezzarsi del materiale necessario, scegliendo tra lavagne magnetiche o non, o semplici rotoli di carta. Fatto “l’investimento” iniziale bisogna poi continuare a spendere per post-it e/o pennarelli.
Se prendiamo questa strada scordiamoci integrazioni varie, profilazione degli accessi, calcolo automatico delle metriche, accesso remoto e tutto ciò che è prerogativa del digitale. Eppure per molti è ancora questa la strada da preferire, perché una lavagna fisica è sempre sotto i nostri occhi ed è più piacevole da manutenere. E cosa da non sottovalutare fa anche design.

La mia soluzione

Ciascuno ha le proprie esigenze, io per quanto mi riguarda ho optato per una lavagna metallica Nobo senza cornice, una soluzione che mi da la possibilità di estendere eventualmente la dimensione della mia lavagna, e per evitare che i foglietti cadano ogni due minuti (e non usare nastri adesivi) mi sono attrezzato con tanti piccoli magnetini.

La Kanban che uso al lavoro per gestire i progetti a cui partecipo

La Kanban che uso al lavoro per gestire i progetti a cui partecipo


Ho diviso la superficie orizzontalmente per progetti, e verticalmente per “livelli del software”, ciascun livello con le proprie aree todo e done. Non ho lasciato uno spazio per le attività doing perché per marcare le attività in corso uso semplicemente dei magneti più grandi e colorati.
Essendo la mia “Kanban personale” e lavorando quasi completamente da solo non ho bisogno di altro, ma se anche si volessero gestire le “identità” di coloro che sono al lavoro su un determinato compito basterebbe diversificare i magneti, associando a ciascuno un colore diverso (o meglio ancora degli avatar). Il massimo numero di attività svolte da un soggetto in un determinato momento è limitato dal numero di magneti assegnati a costui; generalmente due-tre magneti sono sufficienti, perché un parallelismo più alto sarebbe deleterio e significherebbe che alcune di queste attività sono in realtà ferme.
La priorità è identificata dal colore del foglietto, gialla per le cose a priorità bassa, rosso per quelle che devono essere fatte con maggior urgenza. La priorità del backlog è data dall’ordine dei foglietti all’interno dell’area todo.
La lavagna è piccola (70 x 35 cm), ho usato quindi dei post-it più piccoli.
Eventuali informazioni aggiuntive, come ad esempio la versione del software rilasciata al cliente, le aggiungo con il pennarello in aree determinate.

I limiti della mia lavagna

Nella mia Kanban non è chiara la priorità “generale” dell’attività, perché le priorità sono evidenti solo all’interno di ciascun progetto.
Quando dovrò iniziare a lavorare a qualche altro progetto non avrò più spazio, dovrò quindi fare un sacco di spostamenti (ma potrei in teoria comprare altre due lavagne). Inoltre se un cliente si incavola e un’attività diventa urgente dovrei riscrivere l’attività su un nuovo foglietto di colore diverso.
Lo spazio su ciascun foglietto è poco, quindi non ho prestato molta attenzione alle date di inserimento nel backlog, di inizio attività e fine attività. Inoltre ho dovuto scrivere abbastanza piccolo e la mia calligrafia non è il massimo (eufemismo), quindi i coraggiosi che volessero leggere le attività potrebbero avere qualche problema.
Il punto è che a me non interessa poi tanto valutare i tempi, quanto avere sempre a disposizione una “fotografia” del mio lavoro vicino alla mia scrivania, così che chiunque voglia sapere cosa sto facendo (anche in mia assenza) possa vederlo velocemente con i suoi occhi (me compreso).

Conclusioni

Come consigliato una sera dal coach agile Stefano Leli, la Kanban va introdotta anche senza permesso dei superiori perché è uno strumento virale, che colpisce e cattura l’attenzione di chiunque la veda.
Mantenerla non richiede più del tempo che fa guadagnare, e anche se dovrebbe servire a coordinare un gruppo di persone può essere molto utile anche a chi lavora per proprio conto.

Io ne ho anche una attaccata dietro la porta della mia camera, con cui voglio cercare di mantenere bilanciato il tempo che dedico allo svago, alla formazione personale e alle attività domestiche. Ma questa è un’altra storia.

L’importante è capire che “Lo scopo di Kanban è quello di eliminare Kanban” (Mike Rother).

Generare il proprio modello di business con i canvas

Era il lontano novembre 2013 quando al Cowo 42 l’agile coach Stefano Leli tenne un illuminante seminario dal titolo “Dalla Vision al Prodotto”. Ero con alcuni miei colleghi e tutti ci divertimmo un sacco a giocare con post-it e cartelloni per esplorare velocemente un’idea di progetto, ma quello che apprendemmo allora rimase più o meno nel cassetto, almeno nel mio caso.

Forse quindici mesi fa i tempi non erano maturi per introdurre nell’azienda dove lavoriamo certe metodologie, ma qualche settimana fa Francesco Strazzullo è riuscito a proporre anche internamente all’azienda un seminario di questo tipo, l’incontro si è tenuto la settimana scorsa e il risultato è stato naturalmente un successo.

O' Professore

O’ Professore

Al termine della veloce presentazione ci siamo cimentati con l’esplorazione di un’idea, formando due squadre e lavorando in parallelo. Le squadre hanno percorso strade divergenti ma entrambe potenzialmente realizzabili.

Il risultato del pomeriggio di lavoro/svago

Il risultato del pomeriggio di lavoro/svago

Canvas, parola che vuol dire tutto e niente

Canvas in inglese vuol dire tutto e il contrario di tutto. Letteralmente significa tela, in pratica lo si può usare ogniqualvolta si definisce qualcosa in modo schematico. Il Business Model Canvas è stato solo uno dei canvas trattati, e sulla sua scia ne sono venuti fuori altri: il Product Canvas, il Value Proposition Canvas, e il Personal Business Model Canvas.

Business Model Canvas

Il capostipite della famigla, da una visione di insieme di tutto il contesto del business nel quale ci vogliamo lanciare comprendente il prodotto, i clienti, le relazioni con clienti/fornitori, le attività/risorse chiave, i costi e i ricavi.
Se ne parla in siti internet in italiano e in inglese, ma soprattutto in un libro molto bello, quel Business Model Generation, di cui non si può non consigliare l’acquisto considerato quanto è denso di contenuto, bello graficamente e piacevole da leggere.
Trattandosi di “schematizzazione di contesti di business” esiste tutta una letteratura di patterns ricorrenti dal quale possiamo prendere spunto per il nostro business, o che dovremmo conoscere per evitare di sbattere il muso per terra come è già successo ad altri nei secoli passati.

Product Canvas

Visione in dettaglio del blocco centrale e principale del BMC, quel Value Proposition che è evidentemente un po’ troppo fumoso per essere di una qualche utilità. Serve per sintetizzare quali saranno le caratteristiche principali del prodotto, il nome, lo scopo, come ne misureremo l’efficacia e così via. Forse si tratta dello schema più semplice da riempire nel momento in cui abbiamo in mente un’idea, ma è chiaramente anche il più “importante” (per quanto lo sono tutti) perché ci da velocemente un’immagine di come sarà il nostro prodotto, senza curarci del contesto.
BMG - Product Canvas

Value Proposition Canvas

Questo diagramma è quello con la forma più carina e “di design”, ma in realtà lo si sarebbe benissimo potuto disegnare in qualunque altro modo, perché il suo scopo altro non è che quello di mappare le esigenze e i desideri del cliente con le caratteristiche del prodotto che abbiamo intenzione di immettere sul mercato. Il cliente (o meglio un segmento della clientela a cui ci rivolgiamo) guarda al prodotto perché ha dei bisogni, e questo canvas dovrebbe servire a mappare le sue necessità con le soluzioni che il nostro prodotto gli offrirà. Se ci rendiamo conto già su carta che non riusciremo a dare al cliente tutto ciò di cui ha veramente bisogno probabilmente il nostro business sarà un fiasco.

Personal Business Model Canvas

Al suo interno racchiude il nome del genitore perché in questo caso il prodotto da vendere siamo noi, e se usiamo questo canvas significa che non abbiamo abbastanza “clienti” o che stiamo per immetterci in un nuovo mercato.
Con quest’ultimo schema andiamo un po’ “fuori dal somentado” perché in un certo senso abbiamo già il prodotto e si presume che lo conosciamo abbastanza bene dal momento che si tratta di noi stessi. Se siamo bravi nell’introspezione compilare questo foglio non è che ci darà poi molto, ma può essere comunque un utile esercizio specialmente se siamo disoccupati e dobbiamo scrivere un curriculum vitae o se pensiamo di non essere adeguatamente valorizzati con il nostro attuale lavoro.
BMG - Personal Canvas

Con chi

In generale quando si ha intenzione di produrre qualcosa e si vuole fare dell’analisi bisognerebbe fare gioco di squadra, e la squadra dovrebbe essere quanto più variegata possibile per competenze, attitudini, età, sesso e così via. Compilare un BMC in una squadra di quattro/cinque persone è un’esperienza stimolante e divertente, se si è di meno si rischia di andare un po’ troppo a singhiozzo e sicuramente potrà mancare qualche competenza, se si è in più il tutto potrebbe rischiare di finire in baraonda o con qualcuno che se ne sta zitto in disparte.
Farlo da soli può essere un po’ estremo ma secondo me non è da escludere, perché una volta prodotto qualcosa e stabilito che non è poi così campato in aria ci si può sempre ragionare di nuovo in compagnia.

Quando, come e perché

Abbiamo in mente l’app rivoluzionaria? Vogliamo provare a commercializzare i nostri centro-tavola al punto croce? Pensiamo di darci alla politica? In un certo senso ogni volta che vogliamo generare offerta di qualcosa e cerchiamo quindi della domanda stiamo generando un business, e fare un quadro della situazione compilando questi canvas può essere molto utile. Nella migliore delle ipotesi il nostro prodotto ne uscirà migliore, nella peggiore (ma nemmeno tanto) sposteremo la nostra idea dal cassetto al cestino perché è chiaramente una “minchioneria”.
Sebbene gli insegnanti cerchino di convincerci che ci sono dei modi “migliori” di compilare il Business Model Canvas, o qualcuno ci assicuri che è preferibile compilare prima il Product Canvas, dal mio punto di vista non c’è un modo giusto e uno sbagliato per lavorare con questi schemi. Si può partire dal prodotto o dal cliente, o dalle proprie caratteristiche produttive, e ciascun punto di partenza ci porterà inevitabilmente a risultati diversi.
Il mio consiglio quindi è: iniziate sempre con il capire dov’è che risiedono le nostre maggiori certezze o dov’è che abbiamo minor margine di manovra. Se il prodotto è già ben definito nella nostra mente tanto vale partire dal prodotto, se invece abbiamo giusto qualche traccia forse può avere più senso partire dal BMC, così da lavorare prima su una visione d’insieme di tutto il business che può aiutarci anche a definire il prodotto.

Di certo c’è che giocare con la carta e i pennarelli è sempre un piacere, e spendere qualche ora per fare un quadro della situazione su carta è un investimento da fare senza remore.